TFF20 -
INSOSTENIBILI LEGGEREZZE DELL'EST - CRONACHE DAL FESTIVAL
Incontri con gli autori
Una folla in grande fermento, per l’atteso annuncio ufficiale dei
vincitori della 20a edizione di Trieste Film Festival, ha riempito
questa mattina alle 11.00 la sala dell’Hotel Urban.
Il primo a parlare è stato il regista Werner Nekes con il suo
Uliisses, film sperimentale ispirato all’Odissea di Omero, che è
anche un viaggio nel cervello umano e nel suo modo di percepire le
immagini.
Il film di Nekes risale al 1980 e, spiegando quale sia la sua opinione
sugli strumenti moderni ora a disposizione dei cineasti, ha affermato di
riuscire agilmente a combinare l’artigianalità dei mezzi antichi,
intervenendo direttamente sulla pellicola, con la praticità di quelli
contemporanei, sfruttando il computer per gestire la velocità, il ritmo
e la musica.
Per la sezione documentari Claudia Tosi ha parlato del suo
Mostar United, un ritratto attuale della città bosniaca attraverso
uno dei suoi simboli: la squadra locale di calcio. La regista ha
spiegato come la guerra abbia profondamente mutato gli abitanti del
luogo, dove la violenza esplode con poco, anche in occasione di un
piccolo evento sportivo. Lo stesso allenatore della squadra, nel film,
ha affermato che “Mostar è sempre in equilibrio fra sangue e dolcezza”.
È stato poi il momento del documentario Ci vediamo alla Torre Eiffel
di Valentin Valčev.
L’eccentrico regista bulgaro è risultato originale fin dall’aspetto
esteriore: si è presentato sfoggiando con orgoglio un particolare paio
di occhiali che, come ha spiegato lui stesso, sono stati realizzati da
un designer francese negli anni '60 e hanno sempre fatto parte della sua
identità, in quanto in piena rottura con il conformismo imposto dal
regime comunista.
L’opera di Valčev è un indagine sulla vita di Marion Michelle,
sceneggiatrice, operatrice e compagna di Joris Ivens: coppia artistica
che ha dato vita, nel 1947, ad un documentario sulla costruzione del
socialismo attraverso un lungo viaggio nei paesi dell’Europa dell’Est.
Il regista bulgaro ha ripercorso questi luoghi per poi mostrarli
all’ormai 93enne Marion, trasformando la sua ricerca in una riflessione
sul significato del fare cinema e su i valori fondamentali
dell’esistenza.
Subito dopo, Igor Zupe ha ripercorso con i presenti il suo La
musica come arte nel tempo, LP Film Panarti-Dolgcajt, un film che
rientra nella rassegna “Walls of Sound”: 11 film selezionati per
mostrare come diversi generi musicali relegati al margine abbiano avuto
un peso nella storia di vari paesi dell’Europa Orientale.
Il film di Zupe, o come lui preferisce definirlo un “LP Film” ripercorre
la storia della popolarissima band punk slovena Pankrti, che ha
caratterizzato la scena musicale locale, unendo la cultura del pop dello
Stato socialista balcanico con i movimenti in atto nell’Occidente,
rompendo i confini di una società chiusa e finendo col cambiare la
Storia.
È stata poi la volta della presentazione del film di chiusura del
festival Il mondo è grande e la salvezza sta dietro l’angolo di
Stephan Komandarev. Una storia tratta dal romanzo omonimo di Llija
Trojanow, che ha collaborato alla stesura della sceneggiatura e si è
sempre dimostrato disponibile e fiducioso nel lavoro del regista
bulgaro. La vicenda narrata è connessa alla città di Trieste e anche
alcune delle scene del film di Komandarev sono state girate qui.
Il regista ha rivelato di aver provato grande nervosismo quando è giunto
il momento di mostrare la sua opera all’autore del libro e agli altri
protagonisti reali della storia, e di essersi sentito felice nel vedere
la commozione nei loro occhi.
Annamaria Percavassi, direttrice di Alpe Adria Cinema ha
commentato di aver scelto questa pellicola in occasione del gran finale
del festival in quanto: “ho voluto che tutti i film conclusivi, anche se
ambientati in realtà spesso drammatiche, riuscissero comunque a
trasmettere dei messaggi positivi di speranza per il futuro”.
L’ultima opera della sezione dedicata al Cinema Greco “dal
margine” è stata Eduart di Anghelikì Antonìou. All’incontro
giornaliero con gli autori era presente il protagonista del film, il
kosovaro Eshref Durmishi, che ha interpretato la storia vera di un
ragazzo scappato da una società violenta e da una famiglia ostile per
inseguire il suo sogno di diventare una rockstar, finendo poi col dover
scontare una condanna in prigione per dei crimini passati. Il giovane
attore ha raccontato che, per rappresentare al meglio questa storia di
redenzione, ha preferito chiudersi in se stesso e creare il personaggio
attraverso le sue emozioni, aspettando di incontrare il vero Eduart
soltanto a riprese concluse, per evitare qualsiasi condizionamento.
Per la serie “Zone di Cinema” è stato poi il momento di
Giampaolo Penco ed il suo Storie di un confine e di tante identità,
attraverso cui ha cercato di dare voce ai numerosi protagonisti di
questo territorio di frontiera. Fra i tanti spicca l’incontro con
Boris Pahor, che ha condiviso con piacere i suoi ricordi narrandoli
nella lingua che li ha identificati: l’infanzia sotto l’Austria in
tedesco, gli anni della crescita in italiano, il periodo della guerra in
francese e dal dopoguerra in poi in sloveno. Il regista ha voluto anche
citare il collega Franco Giraldi, che, in tema di “frontiera”,
aveva affermato: “In questi posti abbiamo molte identità diverse e
finiamo poi col sceglierne una soltanto, dimenticando tutte le altre”.