Incontri con gli autori
Come ogni
giorno, alle 11.00 presso la sala conferenze dell’Urban Hotel si
sono svolti i quotidiani incontri fra i protagonisti del Trieste
Film Festival, la stampa e gli appassionati di cinema.
La prima a prendere la parola è stata Penny Panaiotopoulou,
regista di Difficili addii: mio padre. L’autrice di origini
greche ha dato vita ad una storia particolarmente toccante di una
famiglia che affronta il lutto del padre. Il racconto non assume
però dei contorni troppo drammatici, in quanto la storia è
presentata attraverso gli occhi del bambino protagonista, che per
affrontare la difficile situazione si crea un mondo alternativo di
pura fantasia. Un universo al confine fra il reale e l’irreale,
espresso creativamente attraverso l’uso delle luci e di una
scenografia artificiale.
Questa "fiaba dei tempi moderni" è ambientata nel 1969, anno dello
sbarco sulla Luna, occasione storica scelta dalla regista come una
metafora per rappresentare un momento di passaggio verso un ignoto
pieno di aspettative, ma anche quello in cui il protagonista accetta
finalmente la morte del padre, diventando perciò topico dal punto
vista della narrazione.
Successivamente è intervenuta Marina Pierro attrice
che ha esordito nel 1976 con una piccola parte ne L’innocente
del grande Luchino Visconti, ruolo che le ha aperto tante porte
e dato il via alla sua carriera. Poco tempo dopo, ha raccontato
l’attrice, Walerian Borowczyk è rimasto molto impresso da una sua
fotografia tanto da cercarla con insistenza per proporle di lavorare
assieme, opportunità unica che ha segnato l’inizio di un proficuo
sodalizio. La sintonia speciale fra l’originale regista e la sua
musa è nata da una comune sensibilità nei confronti dell’arte e,
come sottolinea la Pierro, "si deve instaurare un rapporto di
scambio reciproco e comprensione per dar vita a qualcosa di magico".
È stata poi la volta degli autori del cortometraggio Caffè
Trieste, prodotto dalla Cappella Underground e che rientra
nella sezione "Zone di Cinema". Gli sceneggiatori
Lorenzo Acquaviva e Chiara Barbo hanno raccontato
come il progetto sia nato tre anni fa, dopo l’incontro fortuito con
un noto poeta di strada che li ha portati a conoscenza del Caffè
Trieste, uno dei luoghi simbolo del quartiere italiano di San
Francisco. Il film racconta parallelamente la storia del
proprietario e fondatore, Gianni Giotta, e le tante storie dei
frequentatori abituali di questo luogo, fra artisti e gente comune.
Chiara Barbo, sceneggiatrice e produttrice ha
parlato della difficoltà di selezionare all’interno dell’enorme
documentazione raccolta le testimonianze da utilizzare, di come si
sia trattato di un costante work in progress in continua
evoluzione. La Barbo ha poi aggiunto: "Vorremmo proiettarlo lì nel
Caffè che lo ha originato, o magari fuori all’angolo della strada,
invitando l’intero quartiere a vederlo".
Sempre per la sezione "Zone di Cinema" si è poi conversato
amabilmente con Gloria De Antoni e Oreste
De Fornari, gli autori e registi de Il perdente
gentiluomo: vita e arte di Antonio Centa. L’opera che ha voluto
rivalutare il cinema degli anni '30 omaggiando uno degli astri dello
star system italiano meno conosciuti. De Fornari ha affermato che
Antonio Centa era un "uomo di superficie, con molte zone d’ombra e
mistero, difficili da districare a causa della reticenza dei vari
testimoni". I due autori hanno attualmente in cantiere un progetto
su Senilità di Svevo, che sperano di riuscire ad ultimare
in tempo per la prossima edizione del Trieste Film Festival,
occasione perfetta per presentarlo in anteprima.
Ha concluso l’incontro Daniele Gaglianone, autore e
regista del documentario Rata nece biti! (La guerra non ci
sarà): una serie di incontri e viaggi in Bosnia Erzegovina. Le
motivazioni che hanno guidato Gaglianone sono state l’esigenza di
far respirare testimoni e luoghi secondo il ritmo da lui percepito
in prima persona, e di far trasparire le emozioni da lui provate
"facendo un passo indietro" e permettendo alla storia di raccontarsi
da sola. Il regista si è addentrato nei vari aspetti del progetto,
su alcuni episodi che lo hanno profondamente toccato e colpito, come
ad esempio l’incontro con la patologa incaricata di studiare i resti
dei corpi ritrovati per ricostruirne l’identità: un momento che ha
avuto difficoltà a ricreare su pellicola e che poi ha risolto
sfruttando il sonoro in maniera da trasmettere l’emotività del
momento.
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